Come ci liberiamo da ricordi carichi di sofferenza?
I ricordi fanno il bene e il male nella vita, generano gioia o sofferenza. A volte così tanta sofferenza che le persone cercano di farli scomparire con alcool o droghe pesanti, ma le rimozioni continuano comunque ad operare nella psiche profonda, negli scantinati della mente, nelle buie e fredde prigioni dell’inconscio.
Il segreto della vita è dunque compiere esclusivamente azioni che poi possiamo ricordare con gioia, fierezza, nostalgia. Ma prima che la memoria sia popolata solo di ricordi appaganti, ispiranti, c’è un grande lavoro da fare.
I grandi rishi vedici piangevano se non erano ispirati. La vita ha senso ed è veramente vita solo se si è ispirati. Viceversa è solo un trascinarci, con al rimorchio solo rottami.
Quando il ricordo di un qualcosa che abbiamo compiuto ci dà disgusto, rammarico e rimpianto per gli errori che abbiamo fatto, la soluzione non è rimuoverli ma acquisire più forza e determinazione per correggerci e diventare molto attenti a come si agisce, a quel che si desidera, a come si pensa nel nostro intimo (vicara) e a cosa si elabora con gli altri (vitarka).
Occorre essere estremamente vigili soprattutto per verificare la natura dei nostri desideri, perché è dai desideri che si genera tutto: pensieri, parole, azioni, abitudini, comportamento, carattere, destinazione.
I desideri che hanno una carica distruttiva ammorbano non solo noi ma anche l’ambiente di emissioni tossiche. Se non prendiamo la nostra vita in mano cominciando con la scelta attenta dei nostri desideri, ogni altro sforzo – seppur nobile – apparirà vano. Varrà solo tanta fatica per ottenere nulla: perché la persona non ha imparato a lavorare prima di tutto sui propri desideri. Le Upanishad ci dicono: la persona non è che desiderio. Così come desidera, così ella diventa, anche suo malgrado.
Il desiderio è il primo livello in cui una pulsione inconscia diventa in qualche modo cosciente, quindi a quel punto l’io può capire la natura di quel contenuto psichico, vagliarlo, verificarlo ed eventualmente adoperarsi per trasformarlo.
Che cosa stai desiderando?
Le conosci le conseguenze di quel che desideri?
Qualche volta dobbiamo intervenire anche vigorosamente. C’è una domanda drammatica che Arjuna pone a Shri Krishna nella Bhagavad-gita (VI.35): “Che cosa è che costringe l’essere umano a compiere azioni sbagliate anche quando non lo desidera?”
Shri Krishna risponde che la causa è la passione, ovvero i desideri morbosi di natura egoica che, se non soddisfatti, producono collera ed altre emozioni tossiche distruttive. Le persone diventano allora marionette nelle mani del burattinaio “ego”, che fa compiere errori di cui si soffrirà nel tempo pagandone le conseguenze. E le memorie di quelle azioni, se non correttamente elaborate e superate attraverso la correzione del proprio comportamento, continueranno a perseguitare la persona come scheletri nascosti nell’armadio.
Shri Krishna spiega ad Arjuna: ti atteggi a saggio ma saggio non sei. Questo per aiutarlo a porsi in una posizione umile di ascolto e quando Arjuna lo capisce, da lì inizia il suo “volo”: dall’ascolto attento e devoto all’illuminazione interiore. Al punto che Shri Krishna in ultimo può dirgli: “Adesso ti ho detto tutto quel che dovevi sapere, ora agisci come reputi più opportuno”.
Ed è così che Arjuna nella Bhagavad-gita diventa quella figura fulgente di modello spirituale che può ispirare ognuno di noi ad evolvere, a liberarci dalle zavorre per iniziare anche noi il grande “volo”.
Che cosa è accaduto nel frattempo? Che Arjuna ha ascoltato….
Marco Ferrini