Counseling e Disabilità

DSCN1881ll counseling con le persone disabili, segue le linee-guida che informano la relazione di aiuto che seguiamo con gli altri tipi di disagio, con cui entriamo in contatto nel nostro lavoro di counselors,però, come in ogni diverso campo di applicazione, la disabilità ha delle caratteristiche specifiche e imprescindibili che condizionano l’interazione cliente-counselor. Le specificità dell’incontro di aiuto con le persone disabili, sono comprensibili per differenza dalla relazione con le persone non disabili, infatti in linea di principio occorre sempre partire puri e poi, successivamente, declinare e plasmare l’intervento in base a quella specifica persona (con disabilità).

L’atteggiamento spontaneo con i disabili nasconde  delle verità importanti, infatti i copioni di comportamento di un disabile passano tutti attraverso il filtro della propria disabilità, è una caratteristica sempre e comunque presente nel modus operandi di un individuo portatore di handicap, costretto a fare i conti quasi in ogni momento con quella particolare caratteristica che pervade ed informa tutto il suo vivere quotidiano; questa particolarità è tenuta sempre presente anche dagli altri che entrano in rapporto con lui, sia gli altri significativi che quelli secondari.

Un’altra importante consapevolezza che non si può prescindere nel lavoro di counseling con i disabili è la costante coscienza che non è solo l’individuo a patire la sua disabilità, ma questa situazione toccata ad una persona influisce anche su tutta la rete sociale in cui è immerso quell’individuo, tutte le persone che, per scelta o meno, hanno in carico questa condizione vanno aiutati a raggiungere una situazione di vita migliore: il benessere a cui si deve puntare attraverso la relazione di aiuto deve riguardare ovviamente il singolo, ma anche l’intorno; sarebbe facile e poco utile trovare soluzioni che spostano il peso della situazione da uno all’altro individuo, si deve puntare ad un miglioramento globale.

 

Questa riflessione è ancora più cogente se si pensa alle difficili situazioni famigliari in cui vive un disabile: la nascita di un figlio disabile o il passaggio di un membro da una situazione di normalità a quella di disabilità, ad esempio a causa di un incidente, è un trauma che si ripercuote necessariamente sugli equilibri famigliari, generando nuovi modi per incontrarsi, nuovi modi di stare insieme.

 

Il counseling non può prescindere dalla considerazione della rete sociale in cui è inserito l’individuo, infatti è consigliabile comprendere in maniera dettagliata il clima relazionale interno a quel nucleo famigliare, in modo che gli interventi sul singolo non siano vanificati dalle relazioni famigliari quotidiane.

 

Attraverso il counseling, le persone con una disabilità e le loro famiglie possono esplorare e modificare il significato emozionale di una situazione. Un cambiamento in quest’area può spesso influire significativamente sulla loro vita, perfino quando la condizione fisica rimane inalterata.Molte disabilità sono, infatti, causate dalla reazione alla menomazione o alla malattia.

 

Una delle frustrazioni, subite dalle persone con disabilità, consiste nella difficoltà a convincere gli altri a trattarli come persone qualsiasi: se il counselor si comporta in modo forzatamente gentile con un cliente con disabilità, il cliente può vivere con ansia la perdita di una situ azione normale. La maggior parte dei principi, che regolano la nostra attività di counseling in qualsiasi setting, si sono sviluppati per validi motivi; questi motivi devono essere sostenuti con forza anche maggiore nel caso di clienti con disabilità.

 

Problematiche ricorrenti:

 

Il dolore:

 

L’individuo disabile e l’intera famiglia deve affrontare il dolore connesso alla menomazione

o alla disabilità di uno dei suoi membri. Il dolore è legato al dover abbandonare alcune realtà del passato, che potrebbero includere normali speranze e aspettative per il futuro. Lo sviluppo di nuovi modi di pensare, comportarsi e vivere non può avvenire senza dolore per ciò a cui si deve rinunciare. La sofferenza, che ciò implica, non dovrebbe essere sottovalutata. Spesso essa causa rabbia. Alcune volte questa rabbia non è espressa direttamente, ma è evocata in qualcun altro, che tende a reagire con rabbia o rifiuto. Crescere con una disabilità (propria, di un figlio o di un genitore) implica un continuo confronto con nuove perdite, legate all’età e al momento evolutivo.

Ognuna di queste perdite deve essere, in qualche modo, riconosciuta e incorporata nelle

associazioni mentali automatiche, proprie dell’individuo e di coloro che gli sono intorno.

Il dolore, che accompagna ogni nuova consapevolezza di perdite causate dalla disabilità, può essere evitato per molto tempo; ma l’evitare tale consapevolezza a lungo andare causa difficoltà sociali ed emozionali. L’abilità di un counselor nel tollerare l’angoscia con un cliente, senza minimizzarla,esagerarla o negarla, può essere di enorme valore.

L’angoscia, che viene espressa, può, infatti, essere meglio confrontata con la realtà e può, quindi, essere più facilmente elaborata. Altre opportunità per affrontare questo compito potrebbero non essere accessibili al cliente. Il dolore per perdite reali (come, per esempio, la perdita di una gamba) potrebbe rendere le persone incapaci di scoprire ciò che possono salvare (come la capacità.di socializzare, pur non giocando a tennis).

Inoltre, condividere la sofferenza può ridurre il sentimento di sentirsi soli e abbandonati, che spesso emerge in seguito ad una perdita. Perdite precedenti vengono riattivate dalle nuove perdite e possono dare origine ad un dolore che sembra altrimenti incomprensibile nella nuova situazione (ad esempio, la morte di un gatto o di un cane può liberare il dolore per la morte di un padre, avvenuta due anni prima). Il modo in cui ciascun membro dell

a famiglia vive il proprio dolore personale influenza anche gli altri componenti. Il dolore, de

rivante dalla perdita di una propria capacità, e il dolore di vedere tale perdita nel partner, sono sentimenti strettamente collegati. Il dolore di essere nato deforme o imperfetto è potentemente connesso con il dolore che ciò causa alla madre. Una forte sofferenza, da parte della madre, per il danno fisico del proprio figlio potrebbe causare al bambino altrettanti problemi della condizione stessa.

 

Accettare la disabilità:

 

Questa è una frase spesso usata, soprattutto dai familiari e dagli operatori. L’accettazione è chiaramente legata alla conoscenza della realtà e alla sofferenza di dover rinunciare a qualcosa. Sembra che, in generale, sia no necessari un paio d’anni per accettare una

qualsiasi perdita significativa, nel senso che quasi tutti gli assunti automatici, che ci si costruisce intorno al mondo, terranno conto della perdita, invece di negarla. Ciò significa che individui con disabilità, sono spesso, da un punto di vista mentale, indietro di un paio d’anni per ciò che concerne la propria condizione fisica. La consapevolezza di

questo può aiutare le persone, che altrimenti potrebbero pensare che tale condizione debba durare per sempre. Esplorare cosa significhi per le persone coinvolte “accettare una disabilità” o “combatterla” è spesso prezioso.

 

Dare un senso alla situazione:

 

Le persone spesso soffrono per l’ingiustizia del proprio destino.

Tutti noi, infatti, abbiamo alcune aspettative: un ragionevole periodo di vita in buona salute; un lavoro, seguito da un periodo di riposo; che i nostri figli sopravvivano a noi. Quando queste aspettative non si realizzano, sentiamo che qualcosa è andato storto. Il bisogno di dare senso alla situazione vissuta può portare le persone a regredire a credenze molto primitive, spesso a superstizioni (per esempio: “Dio ci sta punendo e p

er questo dobbiamo soffrire”; “questa è la  missione che mi è stata demandata”). Queste idee possono talvolta essere più disabilitanti della condizione stessa.

 

Essere cattivi:

 

Qualsiasi malattia o perdita potrebbe dare origine a un senso di colpa, di biasimo o

di invidia verso gli altri, e anche ad un sentimento di essere “cattivi”: “me lo merito”. Questi

sentimenti possono avere effetti disastrosi sulle relazioni interpersonali. Genitori con figli

disabili spesso credono inconsciamente che il figlio sia il risultato di una loro sessualità

cattiva”, “sbagliata” o una conseguenza delle proprie segrete malvagità. Ciò può influenzare il loro modo di trattare il figlio. Le persone qualche volta parlano del “desiderio” di vedere qualcun altro nella propria condizione. Questo desiderio può farle sentire malvagie e cattive. Le madri, inoltre, sentono di essere cattive se non desiderano di aver

e esse stesse la malattia o la disabilità dei propri figli.

 

Il desiderio di far stare meglio gli altri:

 

Questo desiderio è incredibilmente importante per la famiglia e per gli amici; inoltre, può essere di grande aiuto per questi discutere le frustrazioni, che provano nei confronti della persona che ha una disabilità. Qualche volta coloro che sono in una relazione più intima con questa persona, sono meno capaci di mostrare la propria premura e si sentono in colpa per non essere in grado di farla stare meglio. Questo può portare al fatto che un

marito si allontani o attacchi la moglie, se questa prova a dirgli che sta male o sta soffrendo. Tale situazione, però, può verificarsi in qualsiasi relazione intima. La comprensione di quanto sta avvenendo può far riscoprire alle persone coinvolte i loro sentimenti d’amore sepolti. A volte alcuni tentano di assumere il controllo sulla situazione (malattia / disabilità), controllando le persone con la malattia, in parte attraverso tentativi inadeguati per farle stare meglio. Bambini, con una disabilità grave o con una malattia cronica, possono provare intensi desideri di fare stare meglio i propri genitori, per esempio, cercando di renderli felici quando sono tristi. Il bambino può provare un’enorme sofferenza nel vedere che la propria condizione provoca dolore ai genitori e può, persino, giungere a mascherarla, nel tentativo di rendere felici i genitori.

 

La morte:

 

Le disabilità spesso pongono le persone di fronte alle ansie connesse alla morte. I

genitori si preoccupano di ciò che succederà ai loro figli con disabilità; gli individui con una

disabilità, presente o potenziale, si preoccupano di essere un peso o di essere abbandonati. Inoltre, le persone hanno sentimenti molto confusi circa il desiderare di essere morti o il volere che un membro della famiglia muoia, specialmente nei casi

in cui un forte dolore si accompagna alla malattia. Poiché questo è raramente un argomento di conversazione in ambito sociale, le idee circa la morte e il morire sono frequentemente poco realistiche. Esse potrebbero includere la paura che, se si parla della morte, questa sopraggiunga, oppure che parlare della morte significhi desiderare la

morte dell’altro. Spesso queste idee sembrano essersi formate in età infantile e non essersi modificate molto da allora. Condividere i propri pensieri sulla morte e il morire sembra essere di aiuto, in particolare, quando questi pensieri non siano stati chiaramente articolati. Idee concrete su come, dove e quando si possa verificare la morte possono sostituire fantasie ben più terrificanti. I counselors e gli altri operatori del campo sanitari

o, che non abbiano mai avuto l’opportunità di discutere i propri sentimenti circa la morte e il morire, potrebbero essere incapaci di ascoltare o di rispondere, quando i clienti o i pazienti sollevano questi problemi o accennano al fatto di essere preoccupati da tali pensieri.

 

Stigma sociali:

 

Per molte persone la propria disabilità o quella dei propri figli implica uno stigma sociale. Le persone possono rendere la vita difficile ai soggetti con disabilità; possono, infatti, essere realmente spiacevoli, accondiscendenti, iper-protettive, inutili o sconsiderate.

Bisogna, dunque, comprendere i sentimenti provocati da tali comportamenti. Spesso anche il pregiudizio, secondo cui si è già pagato il proprio debito con la società, se si ha una disabilità o un figlio disabile, e che ogni altra cosa dovrebbe essere facilitata, deve essere discusso e chiarito. C’è un problema serio quando la disabilità genera forti

ansie negli altri. In alcune circostanze, repulsione e disgusto – e anche fascinazione – possono balenare anche sul volto più composto.

Risulta doloroso empatizzare con qualcuno che deve tollerare questa esperienza con ogni persona nuova che incontra.

 

 

Controllo, dipendenza, indipendenza:

 

Il controllo sulla propria vita spesso diventa più limitato, se si ha una disabilità o se ci si prende cura di una persona con una disabilità.

Il counseling può talora aiutare a scoprire un nuovo concetto di “adulto maturo dipend

ente”, mentre, solitamente, le persone possiedono solo i concetti di “bambino dipendente”

e “adulto indipendente”. Il bisogno, da parte della persona con disabilità, di dipendere da altri per amore e conforto, per esempio, potrebbe essere riscoperto e valorizzato tramite il counseling. Alcune persone hanno paura che gli altri non le ameranno, se perdono il controllo: la perdita del controllo significa, allora, perdita dell’amore e può, quindi, essere davvero terrorizzante per l’individuo.

 

 

Sessualità:

 

L’idea che la sessualità sia inappropriata per un “disabile” è, spesso, ancora presente

nell’opinione generale e nelle stesse persone con disabilità.

In realtà ogni essere vivente, disabile e non, vive la propria sessualità in modo estremamente personale ed anche i ragazzi e gli adulti con disabilità provano impulsi sessuali. La differenza sta nella modalità espressiva degli stessi.

Importante quindi per il counseling è accogliere questi impulsi e canalizzarli correttamente.

 

Il Centro per la Famiglia offre:

 

–       Percorsi individuali per genitori e famiglie (fratelli e nonni) con figli con disabilità

–       Percorsi individuali per persone con disabilità

–       Percorsi di gruppo

–       Aiuto nell’individuazione di terapie specifiche a sostegno dell’espressione della persona con disabilità in collaborazione con professionisti e strutture specializzate